martedì 31 gennaio 2012

Verso il Super Bowl XLVI: New York Giants

Che cosa conta di più nel football americano?
Difficile stabilire quanti e quali siano gli aspetti più importanti che portino una squadra Nfl a completare la corsa che porta alla conquista Super Bowl, talmente tanti sono i fattori che possono cambiare millimetricamente il campionato di un team piuttosto che dell’altro, anche se le ultime stagioni sembrano aver fornito un’indicazione abbastanza chiara.
Possedere un attacco in grado di segnare in qualsiasi momento pare essere fondamentale in un momento storico dove nella lega si sta facendo largo l’assalto aereo che con tanta efficienza ha fatto girare numerosi sistemi offensivi, come pure la difesa è sempre stata quella che fa vincere gli incontri che contano davvero. Le striscie positive da record, i numeri fantascientifici, dimostrazioni di onnipotenza in regular season stanno però perdendo d’importanza davanti a ciò che è davanti agli occhi di tutti, un fattore che ha accomunato le due edizioni, quella presente e quella di quattro anni fa, dei New York Giants capaci di raggiungere per ben due volte il Super Bowl.
Mantenere l’imbattibilità per tutto l’anno, essere ritenuti favoriti solo perchè detentori del seed numero uno e del vantaggio del campo amico permanente, o essere semplicemente forti sulla carta non conta più. La strada per la finalissima è percorribile per intero anche da squadre qualificatesi per un soffio alla post-season – lo fecero pure i Packers un anno fa – ed il fattore casa ha perso la grande rilevanza che usava possedere un tempo. Quello che pare contare più del resto, oggi come oggi, è il trovarsi al picco della forma nel momento giusto del campionato.
Solo così si può spiegare la trasformazione dei New York Giants, la stessa squadra che sembrava, nel 2010, navigare in acque tranquille verso l’ennesima partecipazione ai playoffs della gestione Coughlin solo per scialaquare il tutto di fronte ad un finale di stagione dove le forze erano venute inspiegabilmente a mancare in un doppio confronto che li vedeva gestori del proprio destino, innescando involontariamente un vortice di eventi che avrebbe poi consentito ai Packers di acciuffare quel sesto posto nella Nfc all’ultimo secondo, con il resto della storia ben noto a tutti.
I Giants sono sempre stati così, negli ultimi anni. Discontinui. Forti con le spalle al muro, quando non c’è più domani, quando sottovalutati. Ma capaci pure di sbriciolarsi con grande facilità se per caso ritenuti favoriti nel poter bissare il Super Bowl della stagione 2007. Nessuno dava loro credito quattro anni fa, quando impedirono ai Patriots di diventare i perfetti Miami Dolphins del nuovo millennio, ma fecero l’impossibile e vinsero una partita impensabile, dove entrarono in campo già fatti a pezzi dai media. Nei tre anni successivi, non sono neanche mai stati vicini all’essere quello stesso tipo di squadra, tanto da diventare inaffidabili.
Il loro cammino nel presente campionato è stato ancora una volta caratterizzato da alti e bassi, da momenti sconcertanti mischiati a picchi dove l’esaltazione è stata sostanzialmente massima. Forse memori di quel 2007, hanno raggruppato idee e forze, pensato che in fondo non serve partire in pole position per vincere la corsa, e che proprio come in quella favolosa cavalcata suggellata dalla presa miracolosa di David Tyree e da quella esclamativa di Plaxico Burress, forse al credito che gli altri ti possono elargire è meglio non dare rilevanza alcuna. Ed ecco che quelli che all’epoca vennero battezzati come Road Warriors per la capacità di vincere ogni gara di playoffs in trasferta, si sono in qualche modo reincarnati tante sono le similitudini rispetto a quella squadra, con la sola eccezione dell’aver battuto i Falcons a New York, in un’avventura che li ha visti partire per conquistare il territorio ostile dei seed numero uno e due, e rientrare ogni volta trionfanti e pronti per un’altra partenza, destinazione Indianapolis, avversario lo stesso di quattro anni fa, solo l’ultima di una serie di coincidenze che ha dell’incredibile.



I Giants erano già spacciati, secondo i giornalisti, ancor prima di mettere piede in campo. Eli Manning, pur detenendo un titolo di campione Nfl, veniva ricordato frettolosamente e semplicisticamente per l’aver fatto registrare il maggior numero di intercetti della lega nel 2010, e la difesa non sembrava avere uno straccio di playmaker nel back seven, di quelli che servono per fare tanta strada a gennaio. Poi gli infortuni poco prima della partenza della stagione, fuori Terrell Thomas per tutto l’anno, uno dei migliori defensive backs emergenti della nazione, fuori Jonathan Goff e Clint Sintim, che lasciavano un già debole reparto linebackers fornito di soli elementi privi di esperienza, e fuori anche Marvin Austin, carne fresca che avrebbe dovuto fornire nuove gambe ad una linea che avanzava sempre più con l’anagrafe.
In una Nfc East dove il dominio di Philadelphia pareva addirittura scontato, per i Big Blue non c’era assolutamente posto.
L’inizio stentato pareva dare ragione alla critica, se difatti l’esordio stagionale aveva visto New York uscire sconfitta dal confronto con i non irresisitibili Redskins, l’unica vittoria convincente sarebbe stata ottenuta esattamente contro quegli Eagles che stavano cominciando ad essere demoliti con la stessa velocità con cui erano stati messi sul piedistallo. Si diceva che il 5-2 registrato nelle prime 7 partite andasse preso con le pinze, che non equivalesse certo alle dimostrazioni di superiorità che squadre come i Packers avevano messo in scena da subito, e che un eccessivo numero di successi ottenuti contro compagini quali Arizona, St. Louis, Buffalo e Miami – quest’ultima battuta di soli tre punti in un momento dov’era ancora senza vittorie – avesse un pò gonfiato quella che era l’effettiva consistenza dei Giants in chiave futura.
Manning aveva già allora trovato in Victor Cruz un’arma acrobatica ma consistente nel momento del bisogno, anche se proprio da un malinteso tra i due era nato il ritorno di intercetto che aveva condannato alla sconfitta contro Seattle, facendo tornare tutti indietro di un anno, quando le numerose occasioni in cui Eli venne intercettato furono causate da problemi di comunicazione con i suoi ricevitori. Oltre a questo, la linea soffriva per i numerosi infortuni di alcune delle sue stelle, con Justin Tuck criticato all’interno della squadra per non aver dato il massimo in qualche circostanza, nonostante potesse vantare la scusante di aver presenziato in campo – tuttavia senza incidere – pur non potendo essere al 100% della condizione.


Lo scontro con i Patriots, curiosa costante nel cammino dei Giants, aveva risollevato la figura generale della squadra e fatto aprire un pò gli occhi ai detrattori di Manning, che aveva risolto la disputa di Foxboro con un passaggio da touchdown scagliato negli ultimi momenti del quarto periodo, in quella che troppi si erano dimenticati essere la sua ennesima rimonta di carriera. Il quarterback dei Giants, come avrebbe dimostrato più tardi, aveva spesso dovuto sostenere da solo il peso dell’attacco senza poter contare su un gioco di corse che avrebbe terminato come ultimo della Nfl per yards prodotte di media a gara, e con una batteria di ricevitori tanto piena di talento quanto predisposta all’infortunio, che avrebbe dovuto fare a meno, a turno, di quasi tutti i suoi protagonisti principali cambiando costantemente i riferimenti del regista.
Gli indubbi meriti di Manning ed una difesa che stava ricominciando a rispolverare una linea dominante come da tradizione grazie al prepotente emergere di Jason Pierre-Paul, 16.5 sacks in stagione, furono presto liquidati davanti alle sensazioni alterne, perlopiù negative, che le prestazioni di squadra avevano alimentato durante la striscia di quattro sconfitte consecutive patite da metà novembre in poi, dalle quali pareva essere congruo affermare che New York non era pronta, nonostante tutto, ad affrontare gli emergenti ma solidissimi 49ers, o potenze come Saints e Packers, anche se contro Green Bay i Giants erano rimasti in partita a lungo (sconfitta per 38-35), come nessun altro avversario fino a quel momento era riuscito a fare.
Ultime quattro partite di regular season e situazione pressoché disperata, con la speranza alimentata solo dal poter usufruire di tre scontri divisionali per sperare di riacciuffare i Cowboys, che nel frattempo avevano preso le distanze ed erano lanciati verso una vittoria divisionale che sarebbe certamente equivalsa  all’unico posto playoffs disponibile per la Nfc East, tanto serrata era la concorrenza delle rivali di altre division che intasavano troppo la corsa alla Wild Card per mettersi lì a fare calcoli inutili.
Bisognava vincere il raggruppamento, o i Giants sarebbero rimasti eslcusi per il secondo anno consecutivo.
Vero, ci è voluta anche una piccola dose di fortuna, senza la quale nulla sarebbe realizzabile. I Dallas Cowboys avrebbero potuto mandare in frantumi i sogni dei rivali divisionali tenendo botta negli ultimi 5 minuti di una gara che loro stessi stavano conducendo per 34-22, salvo concedere una clamorosa rimonta che ne avrebbe moralmente minato la stagione. New York l’aveva portata a casa con un epilogo surreale, prima del quale Manning aveva architettato in brevissimo tempo i drive della rimonta e sorpasso, lasciando quindi spazio al calcio scagliato da Dan Bailey e bloccato dall’appena menzionato Pierre-Paul, con la conseguenza che ancora una volta la squadra di Coughlin era diventata improvvisamente eccellente in condizioni di emergenza, anche se si sarebbe complicata la vita una settimana più tardi, perdendo ancora contro l’inconsistente Washington.


Chiusura in bellezza, con un derby della Grande Mela largamente dominato dai Jets per tutto il primo tempo, salvo concedere a Cruz la giocata della carriera, una ricezione di 99 yards per una meta spezza-schiena, andata ad egualgiare un record Nfl e soprattutto andata a guastare la semi-perfezione con cui Revis e soci avevano lasciato all’asciutto Manning, che avvrebbe terminato la partita con soli 9 completi. Nel secondo tempo la difesa dei Big Blue era tornata dominante come a tratti era già stata in altre occasioni, alla squadra sarebbe servita solo una maggiore concentrazione plagiata com’era stata da palloni lasciati cadere a terra e placcaggi sbagliati, tutti difetti che quando si accendeva la lampadina venivano puntualmente eliminati.
La conquista del derby alzava il livello della pressione, in quanto all’ultima giornata di regular season New York e Dallas si sarebbero nuovamente incontrate e contese lo scettro divisionale, ovvero l’unico accesso ai playoffs della Nfc East, una gara di post-season anticipata di una settimana, come già tante ne avevano disputate i Giants fino a quel momento. Eli Manning conduceva i suoi all’ennesima vittoria con le spalle al muro segnando la quindicesima meta stagionale nel quarto periodo, record Nfl, Cruz devastava le secondarie con 178 yards su ricezione ed Osi Umenyora rientrava dall’infortunio atterrando un paio di volte Romo, dando ulteriore pericolosità ad una linea già a pieni giri.
Il resto è storia recente: i Giants sono attualmente 3-0 nei playoffs dopo aver battuto i Falcons correndo per più di 160 yards e concedendo solamente 2 punti (peraltro nemmeno offensivi, ma arrivati da una safety), avrebbero quindi fatto i corsari al Lambeau Field mettendo la museruola a Rodgers ed ai suoi ricevitori poco sincronizzati in una gara tatticamente di grande spessore da parte di Coughlin e dei suoi assistenti, andando quindi ad espugnare San Francisco in una partita che sapeva tanto di anni ’80, quando l’Nfc Championship si colorava spesso di blu contro rosso, gara nella quale sarebbero stati determinanti i due errori di Kyle Williams, ma nella quale Manning e la difesa hanno ampiamente dimostrato di valere la qualificazione al Super Bowl.
I Giants sono la squadra giusta, giunta al momento di forma giusto al momento giusto.
La difesa è tornata a dominare il fronte permettendo alle secondarie di coprire e di sopperire alla mancanza di un playmaker nel mezzo. Eli Manning si è definitivamente consacrato quale quarterback in grado di portare una squadra a vincere costantemente nei playoffs. La linea offensiva, proprio come quattro anni fa, è tornata ad essere dominante nelle battaglie in trincea, ed eccelle in fase di protezione sui passaggi. Cruz e Nicks sono due ricevitori che ogni quarterback della lega sogna di avere, due giocatori capaci di segnare nel momento del bisogno, di convertire il terzo down nei momenti cruciali, di salvare la situazione quando sembra disperata.
I Giants proveranno di nuovo a completare un percorso che li ha visti partire sfavoriti, e che li ha visti abbattere ostacolo dopo ostacolo,anche se Brady e Belichick avranno il dente avvelenato per quei sogni di perfezione venuti a mancare proprio per mano di New York.
Manca solamente l’ultima delle similitudini, quella più importante, l’alzata in cielo del Vince Lombardi Trophy. Domenica notte vedremo se Manning ed i suoi compagni riusciranno a far tornare i Road Warriors sul tetto del mondo.

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